eventi d'arte

Le città invisibili di Ines Facchin

Posted On settembre 10, 2012 at 9:45 pm by / No Comments

l1010984-roma-16-italia-22-03Dal 14 al 23 settembre 2012 presso l’ex Convento dei Teatini di Lecce

 

Le città invisibili

Si intitola “Le città invisibili” la mostra dell’architetto-fotografa Ines Facchin che sarà inaugurataalle ore 19,30 di venerdì 14 settembre 2012 presso il salone delle Feste ex Monastero ai Teatini.  Presenta l’artista il critico d’arte Toti Carpentieri curatore della mostra. L’evento, organizzato da Il Raggio Verde eventi d’arte in collaborazione con la rivista telematica “Arte e Luoghi e l’associazione culturale E20Cult, èpatrocinato da Amministrazione comunale di Lecce che ha voluto inserirla tra gli eventi della Notte Bianca e sostiene la candidatura di Lecce a “Capitale Europea della Cultura 2019”.

l1110044-tallin-estonia-27-06-2012-25Strutturata nell’evocazione del celebre capolavoro dello scrittore Italo Calvino, la mostra “Le città invisibili” di Ines Facchin regala allo sguardo dello spettatore un insolito percorso: cinquantacinque fotogrammi per attraversare e riscoprire tra undici tipologie di città l’Europa. È un viaggio che si ricompone, come pezzi di un puzzle, per ricostruire la memoria dei luoghi e delle forme…cinquantacinque città per raccontare, suggerire, evocare, racchiudere emozioni senza tempo. Nata a Roma, Ines Facchin dopo  il conseguimento del diploma di Liceo Artistico ha seguito il corso di disegno del nudo presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, i corsi di studio delle tecniche di restauro in pittura e dell’iconografia nell’immagine femminile in pittura presso l’Università delle Donne di Roma, e si è laureata in Architettura. Ha la passione per la costruzione del disegno e del progetto architettonico, sempre presente quando poggia il suo sguardo su un qualsiasi dettaglio del mondo reale, che risulta trasfigurato, indecifrabile. Questo fa di lei un’artista dotata di spiccato talento e di grande sensibilità, capace di vedere ciò che sfugge all’occhio comune e di studiare una nuova visione del reale. Amante dei viaggi, in compagnia della sua inseparabile Leica, ha fermato nei suoi scatti particolari intriganti dei più disparati paesaggi urbani: New York, Amsterdam, Madrid, Barcellona, Vienna, Praga, Lisbona, Bilbao…senza tralasciare le splendide città italiane Roma in primis, e poi Venezia, Trani, Lecce, Siracusa, Cagliari.

Parallela all’attività di architetto ha mantenuto un interesse per la fotografia che negli ultimi anni è divenuta la sua attività principale. La sua ricerca è focalizzata nell’individuare il particolare incontro tra natura ed artificio, nei luoghi, nei tempi, nel tempo. Ines Facchin gioca con la luce che cambia al passaggio nelle diverse latitudini del mondo e, come un nuovo Marco Polo prova a regalarci la visione della materia che incontra e che cattura nella luce. Messa da parte la fotografia documentaristica, i suoi scatti vanno oltre il reale, oltre l’immaginario possibile alla ricerca delle architetture del colore di  quei particolarissimi  accostamenti e combinazioni cromatiche che rivelano un oggetto come una porzione di questa meraviglia che si chiama Terra.

totemines“(…) Gli sguardi sulle città di Ines Facchin (fermandosi, in piena adesione al pensiero di Maurice Merleau-Ponty, sul visibile e sul percepibile) – scrive il curatore Toti Carpentieri nel catalogo editato da Il Raggio Verde edizioni – indirizzano la nostra mente e il nostro sguardo sul non visibile di cui il visibile è  intessuto, consentendo alla sua fida Leica V-Lux 2 di scoprire sempre qualcosa di nuovo, di fermare stabilmente (rifiutando ogni successiva manipolazione digitale) ciò che l’occhio non ha ancora percepito, guardando, tra analogie e diversità, modalità cromatiche nuove ed antiche, osmosi di forme e di colori, al dettaglio (il segno, il colore, la forma, l’insieme e la texture) come la parte per il tutto. Fino ad identificare il corpus del luogo ben oltre la sua irriconoscibilità, e conferendogli la dimensione del concetto. Non è quindi casuale che, al pari delle città metaforiche di Calvino, le cinquantacinque foto degli altrettanti luoghi di Ines Facchin (una che, per dirla con Marcovaldo, avendo l’occhio “trova quel che cerca anche a occhi chiusi”) con cui abbiamo voluto costruire questa mostra e i loro undici percorsi, ci portino con immediatezza e semplicita` nel territorio dell’invisibile e del fantastico, lasciando alla intangibile concretezza dell’immagine urbana – il suo essere la tessera di un puzzle di ricordi e di desideri – la possibilità di ritrovare quelle dimensioni nascoste che ci appartengono, godendo di essa, nel segno di Marco Polo, non “le sette o settantasette meraviglie ma la risposta che da` ad una tua domanda”. Fino alla riconquista della memoria smarrita, e quindi dell’essenza delle cose e della pura emozione”.

L’evento, organizzato da Il Raggio Verde eventi d’arte in collaborazione con la rivista Arte e Luoghi e l’associazine E20Cult,  è patrocinato da Amministrazione comunale di Lecce e sostiene la candidatura di Lecce a “Capitale Europea della Cultura 2019”.

Sponsor tecnici: Grand Hotel di Lecce e New Bar Domus di Fabio Garofalo.

Spazio espositivo: Salone delle feste ex Convento dei Teatini, Lecce via Vittorio Emanuele

Titolo dell’evento: Le città invisibili mostra fotografica di Ines Facchin
Data di vernissage: 14 settembre 2012, ore 19,30
Data di chiusura 22 settembre 2012

Orari di apertura: Orari: 10/13 e 17/20,30
Ingresso libero

Orario del vernissage: 19-21,30

L’evento è inserito nel programma della Notte bianca di Lecce
approfondimenti: www.ilraggioverdesrl.it www.inesfacchin.info
Patrocini: Comune di Lecce,   “Lecce candidata a Capitale Europea della Cultura 2019
Ufficio Stampa: ufficiostampa@ilraggioverdesrl.it
Curatore: Toti Carpentieri
Artista: Ines Facchin

Catalogo Il Raggio Verde edizioni

 

 

 

 


PER INVISIBILIA AD VISIBILIA

Quei particolari impercettibili e misteriosi

 

In quel gioco delle coincidenze che ci affascina da tempo, in quanto legato alla costruzione degli eventi ma anche all’ineluttabilità delle infinite traiettorie del caso, può accadere che il critico aduso alla comprensione dell’immagine, ma esercitato anche nella lettura del testo, d’improvviso leghi l’uno all’altra e viceversa, senza che vi sia alcun reale rapporto didascalico tra loro. Ovvero che l’una raffiguri il percorso delle parole, o che l’altro spieghi quanto rappresentato.

Come, in realtà, ci è capitato di recente facendo scorrere i mille e mille scatti fotografici che Ines Facchin ha realizzato, muovendosi da un paese all’altro e da una città all’altra, negli ultimi cinque anni. Fermandoci sul singolo file talvolta, talaltra ponendoli l’uno dopo l’altro in sequenza nella logicità di una successione numerica priva, almeno per noi, di qualunque r

iferimento che non fosse quello delle cifre e del capolettera.  Complice, forse, quel memorabile ritratto in bianco e nero che Elisabetta Catalano volle fare ad Italo Calvino seduto di sghimbescio sulla sedia, e con cui, da anni, dialoghiamo silenziosamente. Noi vaganti nel quotidiano spazio personale popolato da memorie, da tracce presenti e da suggestive e futuribili ipotesi, l’altro immobile sulla bianca parete … pronto ad uscirne fuori. E ci torna alla mente quella frase de “Le città invisibili” che afferma: “Viaggiando ci si accorge che le differenze si perdono: ogni città va somigliando a tutte le città, i luoghi si scambiano forma ordine distanze, un pulviscolo informe invade i continenti”; precisando, se mai ve ne fosse bisogno, che Marc Augé si riferisce a ben altre non-identità.

Ed ecco, allora, che il critico, travolto e sconvolto dalle immagini della fotografa/architetto, si appropria, per tutta una serie di motivazioni al personale (non ultime il suo nascere e il suo crescere a contatto con la fotografia chimica, il suo muoversi professionale tra arte e scienza, il suo sottile e profondo legame con i numeri e quel suo temporaneo permanere a Torino proprio lì dalle parti di via Umberto Biancamano agli inizi degli anni Settanta) della struttura del romanzo dello scrittore di Santiago de Las Vegas, e su di essa costruisce questa mostra personale di Ines Facchin da leggersi come la coincidenza dei desideri: quelli dell’artista, quelli dello stesso critico, e infine e probabilmente quelli di tutti gli altri cui capiterà di vedere la mostra, o di sfogliarne il catalogo.

Così ben oltre l’impianto letterario dei nove capitoli che lasciamo, ovviamente, al romanzo, eccoci, affascinati dai numeri e dai loro magici significati (il cinque con il suo simboleggiare l’anima e il centro –l’essere tra l’uno e il nove-, il potere dell’uomo e l’energia di chi inquieto riesce a guardare verso l’ignoto, e quindi l’undici –il primo numero mastro– la cifra dei creativi e della forza oltre che della rivelazione, della conoscenza e della comprensione), intenti nella scelta delle cinquantacinque fotografie di altrettante città, e nell’avvertita, logica e pressoché ovvia necessità di suddividerle a cinque a cinque in quegli undici gruppi di calviniana ricordanza che al termine città (tutte al femminile da Berenice a Pentesilea, tra allusioni e fantasie) accoppiano parole come memoria, desiderio, segni, sottili, scambi, occhi, nome, morti, cielo, continue, nascoste. Guardando, ben oltre i lemmi, alle emozioni. E facendo sì che il tempo e lo spazio, alla fine, possano essere soltanto particolari irrilevanti ed insignificanti. Come accade anche a noi, pur se nei confronti delle immagini della fotografa/architetto.

E se è vero, come è vero, che le fotografie devono raccontare delle storie, ecco che gli sguardi sulle città di Ines Facchin (fermandosi, in piena adesione al pensiero di Maurice Merleau-Ponty, sul visibile e sul percepibile) indirizzano la nostra mente e il nostro sguardo sul non visibile di cui il visibile è intessuto, consentendo alla sua fida Leica V-Lux 2 di scoprire sempre qualcosa di nuovo, di fermare stabilmente (rifiutando ogni successiva manipolazione digitale) ciò che l’occhio non ha ancora percepito, guar

dando, tra analogie e diversità, modalità cromatiche nuove ed antiche, osmosi di forme e di colori, al dettaglio (il segno, il colore, la forma, l’insieme e la texture) come la parte per il tutto. Rapportandoci con lo spazio, fino ad identificare il corpus del luogo ben oltre la sua irriconoscibilità, e conferendogli la dimensione del concetto.

Non è quindi casuale che, al pari delle città metaforiche di Calvino, le cinquantacinque foto degli altrettanti luoghi di Ines Facchin (una che, per dirla con Marcovaldo, avendo l’occhio “trova quel che cerca anche a occhi chiusi”) con cui abbiamo voluto costruire questa mostra e i loro undici percorsi, ci portino con immediatezza e semplicità nel territorio dell’invisibile e del fantastico, lasciando alla intangibile concretezza dell’immagine urbana –il suo essere la tessera di un puzzle di ricordi e di desideri- la possibilità di ritrovare quelle dimensioni nascoste che ci appartengono, godendo di essa, nel segno di Marco Polo, non “le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà ad una tua domanda”.

Fino alla riconquista della memoria smarrita, e quindi dell’essenza delle cose e della pura emozione.

Toti Carpentieri

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *