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prefazione Bloomsbury

Posted On settembre 22, 2009 at 7:49 am by / No Comments

PREFAZIONE

Una vetrina di personaggi reali che si susseguono come ad una “prima” sul palcoscenico degli incontri settimanali del giovedì. Erano i giovani talenti del Bloomsbury Group, genialità che condividevano l’estetica ed il vissuto nel presente, sotto l’egida di un’idea d’avanguardia che negava la tradizione dei padri e si faceva portavoce di un assunto di vita da vivere con emozione.
Un centro vitale delle relazioni interpersonali; una chiusura metaforica al “fuori”, espressione di materialismo freddo e attaccato alla necessità della sopravvivenza. Vi aderirono in particolare membri dell’Apostolato di Cambridge, intellettuali che discorrevano su tutto, sulla scia del proprio respiro. Tanti i membri che in maniera collaterale parteciparono al Bloomsbury.  Pochi quelli che mai lo abbandonarono: Leonard Woolf, Roger Fry, Clive Bell, Vanessa Stephen. Soprattutto, Virginia Woolf. E John Maynard Keynes.
Vite che si incrociano e che condividono “il momento d’essere” perché il distante può avere come risultato solo la morte.
L’opera si apre con un momento storico cruciale per le sorti del mondo: la conferenza delle potenze mondiali a Bretton Woods del 1944, nell’Ampshire, Stati Uniti. L’incontro doveva essere la vittoria di un progetto di benessere, una svolta nel risanamento economico globale. Invece, fu la conferma del potere economico di pochi eletti. Un’amara sconfitta che accrebbe la disillusione nei confronti di una società che quasi malversava la democrazia pura e la equa distribuzione delle risorse. Con la presentazione del suo progetto di risoluzione, l’economista J.M.Keynes, Consigliere del Tesoro britannico, intendeva lanciare una politica di liberalizzazione degli scambi internazionali e di collaborazione, con l’adozione di una moneta unica che favorisse un cambio favorevole e flessibile. Prevalse il potere economico e finanziario degli Stati Uniti ed in particolare dei detentori di grandi capitali: quelli che erano sembrati accordi pacifici tra Gran Bretagna e USA vennero accantonati in favore del piano proposto dall’economista americano JH Williams, che elevava il dollaro a moneta di riferimento per gli altri mercati, con il divieto assoluto al Fondo Mondiale degli Investimenti e alla Banca Mondiale di concedere crediti ai paesi richiedenti.
Una gravissima sconfitta per l’occidente, vieppiù per Keynes, il quale aveva tentato di dare un volto “umano” all’economia, semplicemente applicando “regole di buon senso” che garantissero investimenti nella grande industria e dunque occupazione. Egli aveva sviluppato il suo piano a partire dall’osservazione diretta dei fatti: pur vittoriosa, la Gran Bretagna pativa, fin dalla fine del primo grande conflitto, per le disastrose condizioni di un’industria ormai non più competitiva, a causa del calo di domanda di carbone da parte dei mercati esteri, che richiedevano petrolio quale nuova risorsa energetica. Il governo britannico, perché fosse garantito l’assestamento del bilancio attivo delle casse dello stato, decise di adottare una politica basata sul risparmio. Una proposta, questa, avviata da Stanley Baldwin e che prevedeva un quanto mai pericoloso piano di riduzione dei salari. Lloyd George, sostenuto da Keynes, rispose con un progetto grandioso di costruzione di opere pubbliche che assorbisse gran parte della forza lavoro. In quegli anni ’20 le importazioni erano notevolmente aumentate rispetto alle esportazioni. Incombeva una grave tensione sociale, impercettibile all’apparenza (era esplosa l’edilizia e la produzione di beni di consumo). In realtà il paese stava dando fondo alle proprie riserve e a pagare la situazione furono le classi meno abbienti. Con la recessione finiva l’epoca della conservazione e del risparmio.
Il piano Keynes aveva la peculiarità di essere fruibile nel breve tempo (“nel lungo tempo siamo tutti morti”) . Un giovane leone che per anni si era posto quale osservatore di una realtà disincantata. Era uomo d’azione, che non poteva per sua stessa storia esimersi dal “vivere” le costrizioni sociali. Poteva cambiarle. Keynes era ambizioso, ma non a spese di altri: lottava perché i principi di giustizia si elevassero a diritti universali. Un impegno di carattere sociale per un uomo che mai si era professato socialista. Un liberale puro, con una profonda fede nelle capacità individuali per raggiungere un certo benessere. Un concetto che aveva le basi nella filosofia di GE Moore, per il quale equilibrio e decoro erano le fondamenta del nuovo pensiero ed il cui Estetismo influenzò il Bloomsbury Group, che operò un rifiuto nei confronti dell’uomo del tempo, simbolo di una condizione di staticità confortevole, per opporgli l’uomo “colto” del rinascimento
L’opera di Enza Piccolo è un percorso sinusoidale in cui il ricordo di un momento incontra armoniosamente il presente per divenire esso stesso attuale. Un sigillo di appartenenza dei leoni di Bloomsbury, un clan nell’antico segno di “famiglia” quale nucleo di intellettuali che al secolo più veloce e ricco della storia avevano dato impulso artistico, letterario ed economico. Il romanzo-cronaca è un sipario “scandalosamente” aperto su esistenze accomunate da amore per la vita e per l’umanità. Unico criterio, la parola: veicolo di libertà condivisa; piacere della discussione avviata sovvertendo le regole del parlare “persuasivo” di una società, della quale rifiutavano le convenzioni, gli stereotipi comportamentali, intesi quali distruttori della civiltà. Una libertà di pensiero che esplodeva in un linguaggio personale, talora radicale. Una “privacy” immediata come principio oltre l’esteriore e tirannica  determinazione spazio-temporale.
Contro l’artificiosità del segno essi imponevano un’oggettività espressa attraverso un linguaggio autonomo a partire dall’osservazione diretta della realtà e ad essa riferirsi nell’immediato. Lo stesso EM Forster, sebbene non assiduo al gruppo, aveva con “La Terra Desolata” dato un indizio dell’unica verità riconoscibile nel loro tempo (o in ogni tempo): l’uomo non aveva più valore in sé. Si erano esaurite le certezze. Il nuovo secolo apriva le porte alla  frammentazione dell’individuo e dell’unicità di visione. Inoltre, con l’ufficializzazione a Norimberga nel 1910 della Prima Scuola di Psicoanalisi, si avviò un capillare studio delle parti dell’Io, non più inteso come coscienza, ma consapevolezza dell’essere e della sua capacità di decidere il proprio destino.
Ogni parola nel testo di Enza Piccolo si propone come segno dinamico: un’indagine da affrontare “tra gli atti”. L’autrice costruisce un’immagine efficace, con passaggi armoniosi da momenti trascorsi che trasmigrano in tempi diversi nell’unità del tempo presente. Il linguaggio risulta chiaro, controllato nell’elaborazione del ricordo. Una tecnica precisa, dettagliata, che non perde mai il necessario distacco da situazioni distanti, sebbene vissute con l’impeto di chi ha ben assimilato la storia del nostro trascorso.
I “Bloomsberries” regolavano il loro stile di nobiltà estetica e filosofica in base ad ideali “rivoluzionari” di amore, verità, bellezza. La morale estetica era la loro religione: vita da vivere come espressione di arte nella sua emozione profonda, che fosse altresì impulso determinante a vivere se stessi in pace con il proprio spirito, più che con la società esterna. Discepoli di un post-impressionismo che rompeva gli argini della visione statica della realtà e la frantumava in piccoli tasselli in continua evoluzione. Creazione, ideazione. Ideale solenne. Realtà distintiva, personale, intima contro un fuori mutevole eppure immobile.
Caratterizzanti ed incisive le figure femminili: Lydia, Julia, Vanessa. Contraltare alla tormentata Virginia, unione-separazione con l’universo. Yin e Yang. Movimento eterno. Dentro e fuori. Senza dissolvenze. Tre figure in linea con l’essere femminino; donne che affermano il loro diritto di madre-moglie. Ombra, nel caso di Lydia Lopokova, ballerina di fama internazionale dei balletti russi di Diaghilev. Moglie fedele del non più giovane Maynard, per il quale rinuncia al palcoscenico. Una devozione quasi “impertinente” per Virginia Woolf, intima amica dell’economista. L’autrice offre di lei un’immagine positiva, anche un po’ spenta nella personalità quasi anonima. Angelo muto di parole e pensieri. Vivace e quasi tangibile la presenza-assenza di Julia, riconducibile al fenomeno donna uguale femmina-accanto/dietro-uomo; madre dalla cui morte mai più Virginia si riprende, precipitando lentamente nel turbine della pazzia che la uccide ed insieme la eleva quale una delle scrittrici più rappresentative del ‘900. E poi Vanessa, amata-odiata figura di donna soddisfatta; anch’ella vittima delle attenzioni sessuali dei due fratellastri (Virginia Woolf era stata da entrambi violentata) ma, diversamente dalla sorella, in grado di gestire il mondo che aveva cucito intorno a se stessa e alla sua famiglia. Un nodo da cui Virginia era (si sentiva) esclusa.
Un mondo composto e frammentario di punti di vista, da cui emergono figure nella proiezione di attimi raccolti dalla memoria, in cui il lettore diventa lo spettatore che osserva il dipanarsi di una matassa imbrigliata da convenzioni che, come un vento gelido, giungono ad invadere quei mondi solitari. Vite effervescenti ed ironiche che si auto-escludevano dall’iconoclastia dell’apparenza, vituperata virtù di una società orchestrata da un tempo esterno dalla forza tirannica, inesorabile e che avrebbe condotto solo alla morte.
Una voce fuori dagli schemi, nell’impetuosa ricerca di libertà e amore universale, che si piegò su se stessa e ricompose il mosaico: sconfitti, invecchiati quelli che un tempo erano stati strenui assertori della virtù reale.
L’autrice proietta nelle pagine del romanzo la stessa intelaiatura, conferendo una visione di insieme concreta, reale. Né sogno, né interpretazione di come e cosa fosse quella realtà: la scrittura sembra procedere secondo un proprio percorso, libera di portare in superficie pulsioni ed emozioni condivise, impregnate di sensibilità e sensazione tangibili. Protagonista e soggetto esterno, portavoce di eventi e cronachista. Un essere oltre l’apparenza e il piano esistenziale, cui ella si adegua formulando il fatto con l’espressione semplice, “object-oriented”. E’ l’emozione poi a darne significazione relativa all’essere. Anche quando la parola è un sussurro, un alito. O un silenzio.
Il secolo ‘900 fu un lungo tempo di scomposizione dell’individuo, soprattutto in quei primi decenni durante i quali la legge della relatività, traducendosi nella vita quotidiana, aveva aperto un varco all’approfondimento conoscitivo delle innate potenzialità dell’uomo, in grado di gestire altresì i propri limiti. Sottesa da un incessante dinamismo di ri-formulazione costante, le pagine della nuova letteratura sono il sintomo della medesima ribellione alla tradizione che sta avvenendo nell’espressione artistica, soprattutto cubista. Un fenomeno di scissione-ricomposizione superiori che rompevano gli schemi del politically correct. Senza l’assillo della ricerca assoluta di risposte. Da tale visione l’uomo emerge nella sua complessità di essere e di divenire contemporaneamente: una completezza in cui lo spazio ed il tempo acquistano dimensione univoca, corrono la stessa velocità, si incastrano e si riprendono, si rafforzano e si definiscono nell’incontro del tempo esterno e del tempo interno di  Bergsoniana memoria. Attraverso i personaggi l’autrice “presenta tra le righe” le tematiche tipizzanti il loro tempo; un tempo dominato da intenti di innovazione tecnologica ed artistica, letteraria e sociale. Il ripensamento sulla dominante egemonia dei padri, della formula tradizionale aveva svelato un mondo nuovo, quantomeno per l’obiettività del punto di vista.
Ormai tutto era finito. Ogni ideale di vita sembrava aver dato il definitivo addio alla prospettiva di voce. La storia esteriore aveva vinto sulla capacità di vivere secondo la propria proiezione del mondo. I giovani leoni erano invecchiati o morti. Delusi. Sconfitti. Keynes seguì nella morte cinque anni dopo l’amica Virginia. Lui, colpito da infarto, ultima beffa per un uomo che aveva combattuto contro altri uomini per affermare l’universalità del bene; lei, suicida nel 1941, con una “morte per acqua” emblematico ritorno all’abbraccio protettivo che tanto aveva desiderato in vita.
Un ritorno all’amore universale al quale avevano entrambi dedicato il pensiero ed il respiro. Fino alla fine.

Carmen De Stasio

 

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