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L’amore di Mimosa di Nasho Jorgaqi

L’amore di Mimosa di Nasho Jorgaqi, Il Raggio Verde edizioni 2007

Collana: Corrispondenze Mediterranee diretta da Ada Donno

La nuova collana Corrispondenze Mediterranee riprende un itinerario che probabilmente era già tracciato nelle esperienze individuali e nei singoli percorsi realizzati fin qui dalle donne de Il Raggio Verde che hanno deciso di darle vita: produrre un’editoria finalizzata alla promozione e valorizzazione dei saperi differenti e delle differenti culture.
E’ un progetto di viaggio: navigare sulle rotte della conoscenza e dell’incontro con luoghi letterari distanti fra loro, dove agiscono “centri di attrazione” differenti, pur nella comune dimensione mediterranea. Con il solo intento di aprire nuovi orizzonti fecondi di pensiero e di relazioni.

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Descrizione

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Prefazione di Ada Donno

Quando scrisse L’amore di Mimosa, Nasho Jorgaqi era un giovane promettente scrittore nella repubblica popolare d’Albania, impegnata a compiere nel più breve tempo uno sforzo gigantesco: costruire una società moderna emergendo dalle macerie della seconda guerra mondiale e da un’arretratezza secolare, nelle condizioni date dall’adesione al sistema socialista e in un contesto complicato dalla divisione del mondo in blocchi contrapposti.
L’arte e la letteratura non potevano non avere grande parte in questo impegno. S’impose (e non solo in Albania) la convinzione che il realismo socialista fosse la scuola migliore e che la dimensione fondamentale di esso non potesse che essere un incrollabile ottimismo riguardo alla capacità dell’ “uomo nuovo” di superare ogni ostacolo. Si pensava che alla poesia e alla narrativa, che avevano il compito di scandire la progressione delle classi lavoratrici, si addicessero di più i versi vigorosi di “poemi blindati” e le sonorità epiche dei grandi romanzi resistenziali.
Davanti al romanzo breve di Jorgaqi, che raccontava invece l’amore di due giovani studenti contrastato e infine sopraffatto da miseri pregiudizi e convenzionalismi sociali del passato, la critica ufficiale (quella che s’incaricava di sorvegliare che i canoni fossero rispettati alla lettera) storse il naso: era una storia d’amore senza il lieto fine, non c’era l’eroe positivo, le tematiche sociali facevano da contorno alla vicenda tutta privata dei due protagonisti, il partito ci entrava di straforo. Solo qualche voce autorevole si levò a difenderlo.
In compenso, ricorda oggi Nasho Jorgaqi con quieta soddisfazione, il romanzo piacque molto ai lettori più giovani: la storia tenera e malinconica dell’amore sconfitto di Mimosa e Luan li avvinceva e suscitava discussioni appassionate nelle scuole. Evidentemente il suo romanzo coglieva nel segno: e non è questo che fa di uno scrittore un interprete del suo tempo?
E se i moduli espressivi del realismo socialista richiedevano che la letteratura rispecchiasse i problemi della società e parlasse della gente qual è nella sua quotidianità, delle sue gioie, delle sue preoccupazioni, delle sue lotte e delle fatiche per costruire l’avvenire, il romanzo di Jorgaqi non vi rientrava forse pienamente?
Col senno di oggi è facile rispondere di si, come è facile pensare che l’ostilità di certi critici avesse a che fare piuttosto con una interpretazione ristretta del realismo letterario e con la pretesa di canonizzare la letteratura d’ispirazione proletaria in schemi rigidi, prestabiliti, pensando che la politica potesse dettare le regole alla letteratura e all’arte. Ci sembra di sentire in lontananza gli echi di una polemica consimile, che toccò anche l’intellettualità progressista italiana in quegli stessi anni, quando Italo Calvino stava “a pelo ritto, a unghie sfoderate contro l’incombere d’una nuova retorica” perché avvertiva nell’aria “il pericolo che alla nuova letteratura fosse assegnata una funzione celebrativa e didascalica”. Le situazioni erano differenti, certamente, ma era sostanzialmente uguale l’esigenza dello scrittore di trovare la propria via poetica: che per Jorgaqi non passava attraverso l’obbligo di rappresentare modelli troppo positivi, troppo perfetti, e vincenti. Anzi, egli sembrava dire, proprio nella rappresentazione di una sconfitta sta l’utilità.

L’amore di Mimosa non è un romanzo d’amore, ma un romanzo sull’amore. L’amore come scoperta di sé attraverso l’altro: è attraverso l’amore per Luan che la giovane Mimosa prende coscienza del proprio esistere, anche se, soggiogata dalla madre, non riesce a difenderlo. Ed è un romanzo sulla giovinezza, l’età nella quale a ciascuno si richiedono le prove per comprendere il senso della propria esistenza, per crescere nella consapevolezza e nella costruzione di sé. Ma è anche un romanzo sul conflitto generazionale, in cui i personaggi principali personificano i due aspetti della contrapposizione tra il nuovo e il vecchio: laddove il nuovo è rappresentato dal giovane fidanzato di Mimosa, consapevolmente proiettato verso il futuro, e il vecchio dalla madre di lei, ottusamente tradizionalista e dispotica, oltre che priva di qualsiasi sfumatura di tenerezza. In mezzo, stanno l’inerzia di Mimosa e la colpevole pusillanimità del padre. Con semplicità e leggerezza, tuttavia, l’autore sottrae i suoi personaggi alla tipicità dei ruoli e li vivifica nella immediatezza dei loro stati d’animo: nel contrasto con la madre, la protagonista trova un aiuto equilibrato e maturo in Luan, che cerca di salvarla dall’apatia e, senza essere invadente, la sollecita a prendere in mano le redini della sua vita. Mimosa, però, non riuscirà a rompere il cerchio delle sue paure: perderà l’amore e la possibilità di affermare se stessa. Se è vero che il contesto storico e sociale resta sullo sfondo della vicenda, in cui si scontrano una concezione arretrata e individualistica e le esigenze sociali della “donna nuova”, tuttavia esso appare come la condizione nuova che può consentire di rompere la continuità tra le generazioni: Mimosa è una cittadina della nuova società che, facendo propri i nuovi valori morali e sociali, deve imparare a contrastare il passato che sopravvive in sua madre. La quale non soltanto ostacola l’amore dei due giovani, ma sottrae anche la figlia con un espediente meschino all’impegno da lei assunto volontariamente di prestare servizio nella campagna di alfabetizzazione dei villaggi di montagna, come lo Stato socialista richiedeva ai neodiplomati. E anche se in alcuni passaggi del romanzo sembra di leggere un’allusione a un certo conformismo giovanile (le amiche di Mimosa che accettano per dovere, ma senza entusiasmo, di prestare il servizio in montagna), prevale nettamente la rappresentazione di una gioventù altruista e generosamente pronta ad andare a lavorare là dove lo richiedono l’interesse del Paese ed il bene del popolo. Con una prosa sobria e scorrevole, soffusa di lirismo e velata di malinconia, Jorgaqi rifrange il racconto negli spazi in cui i personaggi si mostrano nel loro travaglio intimo e nelle loro relazioni sociali, spazi che assumono quasi valenza simbolica: da una parte la cameretta nella quale la protagonista si muove, guscio protettivo e prigione, luogo in cui Mimosa si rifugia per sfogare nel pianto il dolore, ma in cui finisce col cedere all’inerzia e alla rinuncia; dall’altra le aule dell’Istituto, che costituiscono il luogo della socialità, del fervore fattivo e della possibilità di liberarsi. In questo come in altri suoi racconti, Jorgaqi è animato dall’interesse per la realtà nei suoi vari aspetti: il passato che determina le condizioni del presente, il cuore umano come infinito campo d’indagine (il conflitto che si dispiega nell’animo della giovane protagonista attira l’attenzione dello scrittore, che lo rappresenta per ricavarne qualche verità sul senso della vita e della storia). In fin dei conti, L’amore di Mimosa può essere letto come un romanzo di formazione, seppure in negativo, perché descrive e rappresenta il percorso ritroso di una giovane donna che non riesce a dare “forma” matura e autentica al proprio carattere. Racconta come, nella ricerca spossante di formare la propria identità attraversando il conflitto con la famiglia, l’angoscia del crescere e il timore del futuro possano finire con l’avere il sopravvento: Mimosa, al contrario di un eroe positivo, non arriva alla meta perché il suo percorso è un cedere continuo al dispotismo della madre antagonista e alla propria debolezza. E, rassegnata alla sua inettitudine, vivrà nel rimpianto. Un’esperienza che certo non si offre come modello. E’ questa scelta che è stata criticata. Ma, sulla distanza, è proprio ciò che rende ancora oggi vivo questo romanzo e capace di comunicare emozioni e sentimenti. Il cammino di una donna – sembra dire Jorgaqi – per adattarsi alle nuove condizioni dell’esistenza, non avviene senza una intima e drammatica lotta. In realtà la stessa dedica del romanzo (“alla mia generazione signora di se stessa e del paese”) dice della fede dell’autore nella gioventù, quella di ieri e quella di sempre. E la bella immagine che, a conclusione del romanzo, simbolicamente rappresenta la sconfitta di Mimosa (“Nuvole di polvere che si alzavano da ogni parte la presero con sé”), non la rinnega.

Un’ultima annotazione. Per espressa volontà dell’Autore, pubblichiamo L’amore di Mimosa nella traduzione italiana di Jolanda Guazzone Kodra. Le ragioni di questa scelta sinceramente condivisa sono spiegate in postfazione dalla figlia della traduttrice, Clara Kodra. Nella trascrizione e redazione del testo abbiamo apportato pochissime modifiche, del tutto marginali. Sono state aggiunte in appendice, infine, due recensioni del romanzo, di Fatmir Gjata e di Aurel Plaseri, apparse in Albania rispettivamente nel 1961 e nel 1999, perché significative di quanto detto fin qui.

Nota bio-bibliografica

Nasho Jorgaqi, nato a Ballesh (Albania) nel 1931. Autore di racconti e romanzi, biografo, traduttore, sceneggiatore, critico e storico della letteratura, è oggi uno degli scrittori albanesi viventi più noti e letti. Il successo delle sue opere, alcune delle quali tradotte in diverse lingue, testimonia di una non superficiale traccia e di un intimo incontro con il pubblico dei lettori. Oltre a L’amore di Mimosa, ha pubblicato il romanzo L’emigrazione del cuculo e varie raccolte di racconti, fra cui Sogni e ferite, Il Monastero dell’amore, Il castigo della bellezza, Anima incantata. In italiano sono stati pubblicati: Qemal Stafa (Edizioni Naim Frasheri, 1973), Il monastero dell’amore (Bleve Editore, 2002), Lontano e vicino sulla realtà degli Arbreshe, le comunità albanesi nell’Italia meridionale.

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